Aug 23 2006
ho visto cose che voi umani
io ho visto.
ho visto scooteroni da combattimento in fiamme al largo del grande raccordo anulare… e ho visto i fari di una lancia beta del 1974 balenare nel buio contromano all’uscita per valmontone. e tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come finanziamenti al mezzogiorno…
ho visto il sole tramontare alle mie spalle mentre auto in corsa a 280 all’ora impallavano gli autovelox lungo la roma-napoli, spingendo la stradale ad aprire fascicoli su oggetti volanti non identificati. ho visto code agghiaccianti prefigurare un futuro di morte e lamiere alla mad max lungo le principali vie dell’estate tropicale italiana, confortate soltanto da suono di radio maria, radio kiss kiss e fruscii vari. ho visto motociclisti sprezzanti perdere il proprio passeggero e procedere lungo l’immaginario percorso mentale stile tron scolpito nella loro mente. ho visto l’accumularsi di carne umana all’uscita per salerno, un’entità informe e con un solo cervello limitato a pochi neuroni ciascuno, un’intelligenza collettiva capace solo di pochi gesti: infila bigliettino, leggi costo, paga tariffa, procedi oltre verso l’imbuto.
ma soprattutto, soprattutto ho visto la salerno-reggio calabria.
ero stato preparato a tutto: all’allargarsi e restringersi di una strada spacciata come autostrada e rivenduta al mercato nero come viotttolo di campagna; all’alternarsi di curve dal raggio costantemente variabile, forse al fine di mantenere l’attenzione dell’autista sempre alta; all’assenza di luci, fuori e dentro le gallerie – e alle gallerie strette come il corridoio in costruzione della morte nera. ero preparato a tutto, in fondo anche al diluvio universale che si è riversato su di me all’una di notte mentre svicolavo da una a due corsie, poi di nuovo a una, poi a tre, poi a mezza corsia, poi a corsia d’emergenza, poi su due ruote su un binario ferroviario, poi di nuovo a tre corsie. non mi ha spaventato la pioggia monsonica; non le secchiate d’acqua all’uscita delle gallerie; non le pozze enormi che non-si-sa-come-cazzo riuscivano a formarsi in salita lungo il percorso; non la tempesta di fulmini sul mare alla mia destra; non la consapevolezza del baratro kilometrico alla mia destra e alla mia sinistra; non il tapparsi e stapparsi delle mie orecchie che mi segnalava la salita e la successiva discesa del monte bianco; non la guida da immani teste di cazzo dei vacanzieri, che con le succitate condizioni stradali ed atmosferiche ci tenevano a farmi notare il colore brillante della loro carrozzeria sul posteriore della mia auto, sfanalando come soltanto i fari di villa san giovanni e messina messi insieme avrebbero potuto.
ho attraversato tutto questo, aspettandomi un muro di mattoni alla fine di una galleria; uno zombie da investire all’uscita dell’ennesima curva; una banda di guerrieri della notte festanti presso uno dei due autogrill lungo la strada; un giro della morte; una curva parabolica; la fine inaspettata di un viadotto con conseguente volo; l’apparizione di alieni, padre pio o almeno moira orfei. ma niente.
la mia fantasia di morte non è stata appagata. il mio dolore non si è concluso su quelle montagne dove tante volte gli indigeni locali hanno accompagnato gli stranieri per soggiorni in catene presso confortevoli grotte appenniniche. nulla di tutto ciò.
è tempo di morire.
4 responses so far
La domanda che ad una buddace come me sorge spontanea e’: ” e ora chi boi?”
°_° ihih
ma che vuol dire buddace? cmq non voglio niente, perché alla fine dei conti sono SOPRAVVISSUTO e ho mangiato, bevuto e nuotato alla grande per due settimane. ^______^
ma non c’è neanche una bestemmia in questo post???
cioè è anche lunghetto…
non si può, assolutamente, non si può…
è tutto molto interessante