Aug
23
2006
asbesto
Quando una cosa tanto OVVIA come la gestione del mousepad, una cosa che dovrebbe essere TRASPARENTE ALL’UTENTE, una cosa che universalmente, da quando la xerox ha inventato i sistemi a finestre, si PRESUME CHE DEBBA FUNZIONARE SENZA ALCUN INTERVENTO DELL’UTENTE
quando una cosa del genere, che su qualsiasi sistema operativo SEMPLICEMENTE FUNZIONA, SENZA FARE NIENTE
quando questa cosa che PERSINO SOTTO QNX FUNZIONA A MERAVIGLIA, INVECE SOTTO LINUX MERDA DI GNU MERDA DI STALLMAN DI MERDA TI FA PERDERE UN INTERO POMERIGGIO BUTTATO ACCANTO ALLA GENTOO MASSACRATA, CON IL SUO MOUSE DIGRIGNATO VOLTO AL PLENILUNIO,
HO SCRITTO PAROLE PIENE DI ORRORE
non e’ possibile che siamo nel duemila e sei, NEL TERZO MILLENNIO, e configurare UNO STRACAZZO DI MOUSE DI MERDA, UN TAPPETINO DEL CAZZO, UN TOUCHPAD DEI MIEI COGLIONI sotto una merda di interfaccia GRAN-FICA di X-ORGASM di MMERDA ti faccia perdere UN INTERO POMERIGGIO, e ancora non si capisce UN CAZZO DI COME SETTARE LE COSE
il mondo sta andando a puttane, c’e’ qualcosa che non va, occorre fermarsi e riflettere
altro che free software, altro che gniu’ e linucs
dovete morire tutti, frocetti teen programmatori del cazzo, porco il *vostro DIO*
Aug
23
2006
asbesto
Cose per cui gli sviluppatori dovrebbero MORIRE:
gemini etc # emerge sync
*** Deprecated use of action 'sync', use '--sync' instead
Evidentemente, NON GLI PIACEVA avere la facilita’ e comodita’ di scrivere, peraltro da ANNI, semplicemente emerge sync. NO, E’ IMPORTANTE MODIFICARE QUESTA COSA, AGGIUNGIAMO 2 SIMBOLI “-” DAI
DOVETE MORIRE, DOVETE MORIRE
Aug
23
2006
Ta-Yung
io ho visto.
ho visto scooteroni da combattimento in fiamme al largo del grande raccordo anulare… e ho visto i fari di una lancia beta del 1974 balenare nel buio contromano all’uscita per valmontone. e tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come finanziamenti al mezzogiorno…
ho visto il sole tramontare alle mie spalle mentre auto in corsa a 280 all’ora impallavano gli autovelox lungo la roma-napoli, spingendo la stradale ad aprire fascicoli su oggetti volanti non identificati. ho visto code agghiaccianti prefigurare un futuro di morte e lamiere alla mad max lungo le principali vie dell’estate tropicale italiana, confortate soltanto da suono di radio maria, radio kiss kiss e fruscii vari. ho visto motociclisti sprezzanti perdere il proprio passeggero e procedere lungo l’immaginario percorso mentale stile tron scolpito nella loro mente. ho visto l’accumularsi di carne umana all’uscita per salerno, un’entità informe e con un solo cervello limitato a pochi neuroni ciascuno, un’intelligenza collettiva capace solo di pochi gesti: infila bigliettino, leggi costo, paga tariffa, procedi oltre verso l’imbuto.
ma soprattutto, soprattutto ho visto la salerno-reggio calabria.
ero stato preparato a tutto: all’allargarsi e restringersi di una strada spacciata come autostrada e rivenduta al mercato nero come viotttolo di campagna; all’alternarsi di curve dal raggio costantemente variabile, forse al fine di mantenere l’attenzione dell’autista sempre alta; all’assenza di luci, fuori e dentro le gallerie – e alle gallerie strette come il corridoio in costruzione della morte nera. ero preparato a tutto, in fondo anche al diluvio universale che si è riversato su di me all’una di notte mentre svicolavo da una a due corsie, poi di nuovo a una, poi a tre, poi a mezza corsia, poi a corsia d’emergenza, poi su due ruote su un binario ferroviario, poi di nuovo a tre corsie. non mi ha spaventato la pioggia monsonica; non le secchiate d’acqua all’uscita delle gallerie; non le pozze enormi che non-si-sa-come-cazzo riuscivano a formarsi in salita lungo il percorso; non la tempesta di fulmini sul mare alla mia destra; non la consapevolezza del baratro kilometrico alla mia destra e alla mia sinistra; non il tapparsi e stapparsi delle mie orecchie che mi segnalava la salita e la successiva discesa del monte bianco; non la guida da immani teste di cazzo dei vacanzieri, che con le succitate condizioni stradali ed atmosferiche ci tenevano a farmi notare il colore brillante della loro carrozzeria sul posteriore della mia auto, sfanalando come soltanto i fari di villa san giovanni e messina messi insieme avrebbero potuto.
ho attraversato tutto questo, aspettandomi un muro di mattoni alla fine di una galleria; uno zombie da investire all’uscita dell’ennesima curva; una banda di guerrieri della notte festanti presso uno dei due autogrill lungo la strada; un giro della morte; una curva parabolica; la fine inaspettata di un viadotto con conseguente volo; l’apparizione di alieni, padre pio o almeno moira orfei. ma niente.
la mia fantasia di morte non è stata appagata. il mio dolore non si è concluso su quelle montagne dove tante volte gli indigeni locali hanno accompagnato gli stranieri per soggiorni in catene presso confortevoli grotte appenniniche. nulla di tutto ciò.
è tempo di morire.